Gaetano Ambrosiano si dimette da segretario provinciale e lascia art.Uno
“La prima domanda che ci dobbiamo porre è come si sta in un partito. La seconda è interrogarsi su quale sia oggi la sua funzione. La terza è, in relazione al mutare della nostra società, che cosa vuol dire oggi essere di sinistra e di conseguenza qual è l’elettorato al quale si vuole parlare. La quarta è analizzare che cosa si è diventati e soprattutto cosa non ha funzionato a sinistra“. Così Gaetano Ambrosiano, segretario provinciale, motiva la sua decisione di lasciare artUNO. Lo fa con un lungo ragionamento.
“Una sinistra – fa notare – che oggi appare in difficoltà più o meno dovunque. I problemi sono evidenti nella difficoltà di interpretazione di una fase politica attuale: perdita di consenso, governi di coalizione obbligati (campo largo?), scarsa tempestività nel comprendere le nuove sfide e i nuovi bisogni sociali, incapacità (anche dei sindacati) nel tenere insieme le esigenze e le aspettative delle nuove generazioni con quelle delle generazioni precedenti, confusione culturale, spesso subalternità culturale, crisi di identità”.
In questi giorni, nella tragedia di una guerra che rischia di trasformarsi in un conflitto mondiale ci viene spontanea la domanda: come la sinistra può ambire nel candidarsi a guidare il cambiamento?” Come può una sinistra che non hai mai metabolizzato il proprio passato e non è stato in grado di fare sintesi possa guardare al futuro?” Il centrosinistra o campo progressista (sempre se sia esclusiva della sinistra), ha bisogno di una visione comune, di un nuovo linguaggio in quella che oggi è la nostra percezione del paese reale e dei territori, e priva di qualsiasi subalterna posizione, lontani da
‘L’importante è governare sia nel bene che nel male’ non tenendo in considerazione quello che possiamo definire il capitale umano che noi rappresentiamo. Su questo si deve tornare a discutere apertamente, sempre se ci sia la capacità, abbandonando l’impostazione di un partito di campo politico o ideologico. Ma soprattutto, resta l’importanza, di riportare la discussione di questo terzo millennio in un contenitore che forse non chiameremo neanche più Partito, e rinunciare a quella modalità dove gli interessi personali ci conducono in una direzione senza alcun tipo di funzione comune”.
Si torni al concetto di persona di gente comune capace di quel buon senso nello scegliere in trasparenza e chiarezza il destino futuro, nella forma e sostanza di un pensiero sociale che governa il nostro essere corpo stesso complemento di comunità. Abbiamo vissuto una pandemia che abbiamo chiamato guerra verso un nemico invisibile ora ci troviamo a vivere una vera guerra dove l’uomo uccide l’uomo senza alcuna ragione, ed in questo cala il buio di uno stravolgimento del mondo dove nulla sarà più come prima, dovremmo affrontare sfide diverse, bisogni diversi che probabilmente ora non possiamo neanche immaginare, un mondo dove gli equilibri stanno riscrivendo e rivoluzionando in processi che credevamo di non vedere più dopo eventi che hanno stravolto il ‘900. C’è un’ umanità che con difficoltà sta provando ad elaborare un pensiero una ragione di come ricostruire una nuova era, in questo secolo, per l’esercizio delle prossime generazioni. Siamo qui che scriviamo e discutiamo ci confrontiamo, non orfani ma operai, fattori di un nuovo corso. La sfida è questa: accettare che siamo noi ad aver fallito e che dalle nostre coscienze occorre uno sforzo enorme per creare le condizioni nel ricostruire un futuro. Perché fino ad allora continuerò a pensare che tutto sommato aveva davvero ragione Pietro Ingrao: «Pensammo a una torre. Scavammo nella polvere». Dalla polvere di Pietro Ingrao fermo il mio esercizio attivo nel partito dimissionando il mio ruolo di segretario Provinciale di art.UNO giunto a scadenza di 5 difficili e complessi anni, dimissioni che annuncio anche con l’uscita dal partito che è stato parte di una mia storia personale. Ma ora il buon senso mi porta a costruire, modellare da quella polvere mattoni, in una riflessione, fondamenta di visione in un esercizio progressista ancora tutto da pensare


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