Depuratore di una società della Valcomino sequestrato da Dda e Carabinieri Forestali

I militari del N.I.P.A.A.F. del Gruppo Carabinieri Forestale di Frosinone,  coadiuvati dalle Stazioni CC For.le di Frosinone e Veroli, hanno dato esecuzione ad un decreto di  sequestro, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della competente D.D.A. di Roma,  avente ad oggetto il depuratore di una nota società della Valcomino, nell’ambito di un procedimento penale  instaurato per i reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies del  codice penale) e di smaltimento illecito di rifiuti (art. 256, c.1 e 4, D.Lgs 152/’06).  

L’inchiesta

Complessivamente l’attività ha coinvolto quattro società, con sette soggetti indagati: i legali  rappresentanti delle società che conferivano, trasportavano e accettavano i rifiuti, nonché i professionisti  che hanno svolto le analisi dei rifiuti.   L’indagine, svolta su delega dal NIPAAF nell’arco degli anni 2017-2019, è stata piuttosto laboriosa, con  numerosi sopralluoghi svolti con il supporto tecnico di un CTU (consulente tecnico d’ufficio) nominato dall’Autorità Giudiziaria, ed a personale di Arpa Lazio sezione di Frosinone.  

In particolare è stato accertato che la società produttrice conferiva illecitamente a società non autorizzate  ingenti quantità di rifiuti costituiti da fanghi derivanti dal processo di depurazione che, in assenza di  esaustiva conoscenza della loro composizione e di adeguata caratterizzazione, andavano classificati  come pericolosi e che invece venivano sistematicamente classificati come non pericolosi.

Le operazioni  di classificazione dei rifiuti non avvenivano pertanto in conformità dei criteri e delle modalità  disciplinati dalla normativa europea, così come peraltro interpretata dalla corrente giurisprudenza, bensì  in base a meri pacchetti di analisi “standard” eseguite da società che gestiscono i laboratori analitici.  Tali analisi, che non venivano calibrate sullo specifico rifiuto prodotto, o sullo specifico processo  produttivo, oppure sulle specifiche sostanze trattate, risultavano nei fatti inefficaci. 

Veniva inoltre sistematicamente omessa la ricerca della presenza di inquinanti organici persistenti  (cosiddetti POP dall’inglese Persistent Organic Pollutants), categoria di sostanze tossiche alla quale  appartengono anche le diossine.   Per effetto della classificazione di detti rifiuti come non pericolosi, la società produttrice conseguiva un  ingiusto profitto pari ad almeno 100.000 euro (per i soli rifiuti smaltiti dal marzo 2017 a settembre  2018), corrispondente alla differenza di costo di avviamento a smaltimento dei rifiuti non pericolosi  rispetto al corrispondente codice speculare pericoloso.  

Infine la società classificava altri rifiuti prodotti come pericolosi mediante attribuzione di alcune classi  di pericolo, pur omettendo il processo di caratterizzazione del rifiuto secondo la normativa europea, non  potendosi dunque escludere, in relazione al tipo di produzione, alle sostanze presenti e ai rifiuti in uscita,  la sussunzione dei rifiuti sotto altre e più impattanti classificazioni, con conseguenti costi più gravosi di  smaltimento.  

Alle società vengono contestati anche gli illeciti amministrativi previsti dal D.Lgs 231/’01, che  disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti, in questo caso, da reati in  materia ambientale.  

Per tali motivi sono stati sequestrati il depuratore della società produttrice, con contestuale affidamento  ad un Custode Giudiziario nominato dall’A.G., e la somma di 100.000 euro costituente profitto del reato  contestato.

REDAZIONE LaProvinciaQuotidiano.it

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