Era il 1970 quando Letizia Battaglia si trasferì a Milano e ci rimase fino al 1974. Agli inizi della sua carriera una sera, l’11 dicembre del 1972, scoprì quasi per caso che presso il Club Turati Pasolini avrebbe presentato il suo film “I racconti di Canterbury”. Vi si recò con grande emozione, il club era gremito di gente, la folla impegnata e tumultuosa.
Pasolini era chiamato a rispondere ad alcuni violenti attacchi, era sconvolto, il dibattito fu durissimo, il tema dell’incontro era: “Libertà di espressione tra repressione e pornografia”. Letizia, poco più che trentenne, prendeva in mano la macchina fotografica per la prima volta. Non ne sapeva nulla di macchine fotografiche, ne di tecniche, regole e contrasti di luce, non era sicura se sarebbe riuscita ad incontralo ne se sarebbe riuscita a fotografarlo.
In una intervista dichiarò: “Lo guardavo con passione e vedevo un uomo consapevole e al contempo estremamente dolente. Riuscii a fotografarlo. Non avevo la macchina digitale e non potevo rendermi conto di cosa stessi facendo, scattai trentadue fotografie, a casaccio, e mentre lo facevo tremavo dall’emozione. Tornai a casa, sviluppai le foto e mi resi conto che erano incredibili, Pasolini era una presenza straordinaria, lui vive ancora in me”.
Il suo agente riuscì a vendere solo una di quelle foto, per la copertina di un magazine dalle idee politiche vicine al fascismo, che si chiamava ‘Il tempo’, ne fu talmente addolorata che le mise in un cassetto e non le tirò fuori mai più.
Quei ritratti in bianco e nero di un provino dimenticato per quasi quarant’anni, sono saltati fuori dal cassetto della fotografa palermitana quando decise di pubblicarne uno su facebook. Letizia, che nel frattempo aveva ottenuto i più importanti riconoscimenti internazionali (i premi Eugene Smith e Cornell Capa Infinity Award per citare i più importanti), fu contattata da decine di persone e nel 2011 approdò ad Amsterdam per una mostra dedicata intermente a Pasolini, organizzata da Rossana Alberico e Ron Lang nella galleria Metis. Un omaggio che vide protagonisti, insieme a Battaglia, che espose diciassette delle sue trentadue foto, alcuni tra i nomi di maggior rilevo dell’arte contemporanea.
Pur non avendo mai più incontrato Pasolini e non avendo mai parlato con lui Letizia dichiaro più volte che quell’incontro le diede la forza di affrontare tutte le successive vicende della sua vita.
E’ morta a Palermo, nella sera tra il 13 e il 14 aprile scorso, all’età di 87 anni. Nata nel 1935 a Palermo è stata tra le prime donne fotoreporter italiane. Le sue immagini raccontano i sanguinosi anni delle guerre di mafia siciliana, gli anni della ‘Milano da bere’ o della ‘Palermo per morire’ come scrisse Antonio Calabrò.
Iniziò la sua carriera nel 1969, non proprio giovanissima, collaborando con il giornale palermitano ‘L’Ora’, l’unica donna in mezzo a tanti colleghi uomini, circostanza che le creò non pochi problemi.
Dalla Bambina con il pallone, al corpo senza vita di Piersanti Mattarella, al ritratto di Rosaria Costa vedova dell’agente Vito Schifani, le storie di strada che ha descritto Letizia attraverso la sua macchina fotografia non sono mai retoriche, in un bianco e nero denso di contrasti sono silenziose e struggenti con una forza straordinaria e universale.
Raccontò la borghesia e la nobiltà della città, ma soprattutto fece scatti d’inchiesta. Una delle sue foto più famose ritrae l’ex presidente della Repubblica Sergio Mattarella che regge il cadavere del fratello Piersanti, allora presidente della regione Sicilia, appena ucciso.
Non ebbe mai paura di raccontare quello che vedeva, non nascose i suoi scatti, non si fece mai intimorire dalle minacce e dalle ripercussioni ai danni della sua famiglia, ma nel 1992 con l’assassinio di Giovanni Falcone decise di non documentare più fatti di mafia.
Letizia Battaglia non è stata solo una fotografa di mafia ma una delle più importanti testimoni dell’Italia del 900. Tra gli anni Ottanta e Duemila contribuì all’apertura del centro di documentazione “Giuseppe Impastato” a Palermo, aprì il Laboratorio d’If, luogo di formazione per giovani fotografi, e diresse per un periodo la rivista fatta solo da donne Mezzocielo. Si occupò anche di politica e fu assessora di Palermo tra il 1985 e il 1990.
L’argomento che rappresenta la cifra espressiva più caratteristica dell’artista è una profonda e continua critica sociale. Una intellettuale controcorrente ma anche una fotografa poetica e politica.