Una guerra per il controllo dello spaccio di droga nell’area di Frosinone: c’è questo dietro alla sparatoria mortale allo Shake Bar di Frosinone avvenuta nella centralissima via Aldo Moro nella serata di sabato 9 marzo dello scorso anno, nella quale venne ucciso Kasen Kasmi e rimasero feriti in maniera grave il fratello Ervin, ed un’altra coppia di fratelli Klevi e Alvider Hidraliu, tutti di nazionalità albanese.
A spiegarlo sono le motivazioni della sentenza di condanna a vent’anni di carcere per l’imputato, pubblicata oggi dal giudice Antonello Bracaglia Morante. Nelle motivazioni, il magistrato ricostruisce le indagini e smonta la storia di un delitto nato per motivi di gelosia, come sostenuto invece nelle prime dichiarazioni rilasciate in ospedale dalle vittime della sparatoria. Dimostra che la sparatoria era nata all’interno di un regolamento di conti per il controllo del mercato della droga nel capoluogo, con le quattro vittime assoldate ed inviate allo Shake Bar per aggredire l’imputato.
Il quale però si aspettava quell’agguato e proprio per questo girava armato. Il giudice esclude che la sparatoria sia avvenuta per difesa ed inquadra l’omicidio come un gesto preventivato. Solleva anche l’allarme sulle infiltrazioni della malavita albanese a Frosinone: in carcere, l’imputato è stato intercettato mentre telefonava in Albania per chiedere protezione per i suoi familiari.
Nel calcolo della pena, alla fine delle 72 pagine di motivazione, si spiega che il massimo possibile per l’omicidio ed i tentati omicidi erano 30 anni di carcere, scesi a 20 grazie allo sconto previsto dal rito abbreviato.