Il riscaldamento globale rappresenta una delle più gravi minacce per la sopravvivenza della specie umana e per la salute del nostro ambiente. Le emissioni di gas serra, tra cui l’anidride carbonica e il metano, originate principalmente dalle attività antropiche, stanno causando un costante aumento della temperatura atmosferica. Questo fenomeno mette a rischio non solo la sicurezza delle specie viventi, ma anche quella degli ecosistemi di cui facciamo parte. Per affrontare questa crisi climatica, è necessario adottare misure globali e scelte coraggiose che possano portare a un cambiamento significativo.
L’idea di piantare miliardi di alberi è certamente affascinante e ha attirato l’attenzione di scienziati, ambientalisti e politici in tutto il mondo. Tuttavia, è fondamentale riconoscere che questa proposta, sebbene promettente, presenta una serie di sfide tecniche, sociali ed economiche che devono essere affrontate con serietà e lungimiranza. Gli alberi svolgono un ruolo cruciale nel sequestrare la CO₂ e contribuire alla riduzione delle temperature atmosferiche, ma è essenziale considerare l’impatto che la loro messa a dimora su larga scala potrebbe avere sulla superficie agricola e sulla produzione alimentare globale.
Piantare 100 miliardi di alberi richiederebbe enormi risorse, spazi e un’organizzazione logistica estremamente complessa. Dobbiamo porci alcune domande fondamentali: dove troveremo lo spazio necessario per piantare così tanti alberi? Quali terreni agricoli, già limitati, dovremmo sacrificare per raggiungere questo obiettivo? La sottrazione di terreni agricoli potrebbe compromettere seriamente gli sforzi per garantire la sicurezza alimentare, un obiettivo fondamentale dello sviluppo sostenibile. È importante ricordare che uno degli obiettivi dell’Agenda ONU per lo sviluppo sostenibile è quello di eliminare la fame nel mondo entro il 2030, e raddoppiare la produttività agricola è essenziale per soddisfare le esigenze alimentari di una popolazione in crescita.
Attualmente, la superficie agricola globale occupa circa 5 miliardi di ettari, di cui 1,5 miliardi sono destinati alla coltivazione di cereali, frutta e altre colture, mentre il resto è impiegato per il pascolo. Quanti paesi sarebbero disposti a rinunciare a terreni agricoli per piantare alberi? E quali soluzioni verrebbero offerte agli agricoltori costretti a interrompere le coltivazioni o l’allevamento? Queste sono domande che richiedono risposte concrete e pianificazione strategica.
Vanno inoltre considerato ulteriori aspetti “tecnici”. Da dove prenderemo 100 miliardi di alberi? Occorre certamente partire dai semi e da materiale genetico sano, selezionato in base alle diverse condizioni climatiche. Dovranno essere creati vivai su scala globale, in cui far crescere miliardi di piantine, il che comporta l’uso di nuovo suolo, sistemi di irrigazione e volumi di acqua adeguati, personale qualificato e una rete logistica efficiente per trasportare le piantine dai vivai alle aree di destinazione. Dopo la messa a dimora degli alberi, sarà necessario curarli per evitare un alto tasso di fallanza. Tutto questo comporterà dei costi che stimati oscillano tra i 10 e i 100 miliardi di dollari, infine non meno rilevante sarà la quantità di CO₂ prodotta durante l’intero processo. Difficoltà “tecniche”, indubbiamente superabili, ma non semplici come viene spesso affermato da autorevoli divulgatori scientifici.
Inoltre, il tempo necessario per raggiungere obiettivi così ambiziosi è considerevole. Calcoli effettuati da esperti suggeriscono che, se piantassimo 100 milioni di alberi a settimana, ci vorrebbero circa 192 anni per arrivare a un traguardo di 1.000 miliardi di alberi. Questo solleva ulteriori interrogativi: quali sono le tempistiche realistiche per implementare un’iniziativa di tale portata?
Il Green Deal dell’Unione Europea, che include l’ambizioso obiettivo di piantare almeno 3 miliardi di alberi entro il 2030, deve tener conto di tutte queste problematiche se si vuole evitare quello che è successo in Italia. Infatti, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede la piantumazione di 6,6 milioni di alberi in 14 città metropolitane entro il 2026. Tuttavia, per motivi organizzativi, tecnici e amministrativi, l’obiettivo è stato ridotto del 30%, con 1,5 milioni di alberi in meno rispetto alle previsioni iniziali.
È fondamentale non solo concentrarsi sulla piantagione di nuovi alberi, ma anche sulla gestione e protezione delle foreste esistenti. Ogni anno, milioni di ettari di foreste vengono distrutti a causa di incendi, deforestazione e altre attività umane, contribuendo in modo significativo alle emissioni di gas serra. Secondo recenti studi, circa 15 miliardi di alberi vengono abbattuti ogni anno e tra 350 e 450 milioni di ettari di foreste vengono distrutti da incendi, provocando un aumento delle emissioni globali di gas serra fino al 20%. Solo nel 2023, la perdita di foreste ha prodotto 2,4 gigatonnellate di CO₂, una cifra che equivale a quasi la metà delle emissioni annuali di combustibili fossili degli Stati Uniti. In Italia, dove le foreste coprono il 36,7% del territorio, ogni anno bruciano tra gli 80.000 e i 150.000 ettari di boschi. Nel 2023, gli incendi hanno devastato oltre 1.000 km² di foreste italiane.
È chiaro che sarebbe utile un piano di gestione efficiente, considerando che gli alberi del nostro Paese sono in grado di sequestrare 290 milioni di tonnellate di anidride carbonica in più rispetto a vent’anni fa, grazie alla crescita del patrimonio forestale. Questa è una questione seria che non possiamo ignorare. Un piano globale di gestione sostenibile delle foreste potrebbe rivelarsi altrettanto efficace, se non più, rispetto alla semplice piantumazione di nuovi alberi.
In sintesi, affrontare la crisi climatica richiede un approccio integrato e multilaterale che comprenda sia nuovi di alberi sia la protezione delle foreste esistenti. È fondamentale che i governi, le organizzazioni non governative e le comunità locali collaborino per sviluppare strategie efficaci e sostenibili. Inoltre, è imperativo avviare una transizione verso un sistema energetico rinnovabile, riducendo drasticamente l’uso dei combustibili fossili. Solo attraverso un impegno globale, politico ed economico, saremo in grado di ridisegnare il nostro modello di sviluppo e consumo, garantendo un futuro più sostenibile per le generazioni a venire.
In conclusione, piantare alberi è senza dubbio una misura utile e necessaria nella lotta contro la crisi climatica, ma non può essere vista come l’unica soluzione. Dobbiamo abbracciare una visione olistica che consideri tutti gli elementi del nostro ecosistema e promuova una gestione sostenibile delle risorse naturali. Solo così potremo sperare di affrontare efficacemente le sfide che ci attendono e costruire un futuro migliore per il nostro pianeta e per le generazioni future.
Giuseppe Sarracino
Dott. Agronomo