giovedì 25 Aprile 2024
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Inquinamento ambientale, 5 misure cautelari. Nei guai anche l’amministratore di AeA

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Dalle prime ore della mattinata odierna i militari del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale (N.I.P.A.A.F.) del Gruppo Carabinieri Forestale di Frosinone stanno dando esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari reali e personali emanata dal GIP presso il Tribunale di Cassino, su richiesta della competente Procura della Repubblica di Cassino, e consistenti in 3 arresti domiciliari, un obbligo di dimora e un divieto di dimora, nonché il sequestro di un depuratore consortile nel Cassinate, per il reato d’inquinamento, ex art. 452 bis del
codice penale. Nei guai anche l’amministratore delegato di AeA, la S.p.a. posseduta da dai due consorzi industriali ciociari che gestisce i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione.

Sono in corso perquisizioni domiciliari. I fatti contestati risalgono al 2020-2021, derivanti da un fascicolo aperto nel 2018, e riguardano la società che gestisce un depuratore consortile che convoglia i reflui di alcune aziende e comuni del Cassinate. I particolari verranno resi noti nel corso di una conferenza stampa.

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L’esito degli accertamenti

I fatti contestati risalgono al 2020 – 2021 e riguardano la società che gestisce il depuratore consortile, che convoglia i reflui di alcune aziende e comuni del Cassinate. In particolare sono stati svolti campionamenti sul corso d’acqua Rio Pioppeto, nel quale il depuratore scarica i propri reflui, sia presso lo scarico finale dell’impianto sia a monte e a valle di detto scarico. Dagli accertamenti svolti emerge innanzitutto la continua, e significativa, violazione dei limiti tabellari stabiliti per i reflui dello scarico finale del depuratore consortile; in secondo luogo i campionamenti a monte e a valle hanno rilevato fortissime differenze qualitative delle acque del Rio Pioppeto, proprio in riferimento ai parametri riscontrati nel reflui di detto scarico; infine, anche visivamente, lo stato del corso d’acqua si mostrava colmo di schiume e melme, spesso accompagnato da forti odori.

I risultati delle analisi di Arpa Lazio

In particolare le analisi svolte da Arpa Lazio hanno restituito dei risultati allarmanti: nel punto di scarico sono stati ripetutamente superati i limiti dei parametri COD1 (in un caso superiore più di 20 volte il limite), BOD52 (in un caso superiore più di 50 volte il limite), Solidi sospesi  (in un caso superiore più di 50 volte il limite), Alluminio4 (in un caso superiore più di tre volte il limite), Solfiti (superiore anche più di 9 volte il limite), Solfuri (superiore quasi 4 volte il limite).

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A valle dello scarico le analisi svolte da Arpa Lazio rilevano una qualità dell’acqua peggiore rispetto a quella a monte dello scarico: COD (in un caso superiore più di 2440 volte il valore a monte), BOD5 (in un caso superiore più di 2900 volte il valore a monte), Solidi sospesi ( in un caso superiore più di 1470 volte il valore a monte), Alluminio (in un caso superiore più di 1221 volte il valore a monte); inoltre, ci sono rilevanti differenze nei valori dei parametri Fosforo totale (in un caso superiore più di 344 volte il valore a monte), Boro (in un caso superiore più di 204 volte il valore a monte), Ferro (in un caso superiore più di 895 volte il valore a monte), Piombo (in un caso superiore di 9 volte il valore a monte), Zinco (in un caso superiore di 100 volte il valore a monte), Azoto ammoniacale (in un caso superiore più di 7 volte il valore a monte) e Rame (in un caso superiore 24 volte il valore a monte).

Le conclusioni degli investigatori

Le attività tecniche e le indagini degli operanti hanno dimostrato come la descritta situazione sia ben nota agli indagati, i quali non solo erano edotti circa il superamento dei limiti tabellari riguardo gli inquinanti immessi nel corpo recettore Rio Pioppeto, ma anche delle cause dovute alla provenienza di reflui in entrata presso l’impianto in quantità tali da arrecare criticità alla funzionalità del depuratore. In una occasione, infatti, il depuratore si presentava colmo di melme e fanghi, la cui provenienza era dovuta, secondo gli stessi indagati, ad un’azienda che scarica i propri reflui nella rete consortile.

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