Una folla commossa ha preso parte, martedì pomeriggio, al funerale dell’ispettore della Polizia Locale di Frosinone Giuseppe Diana, venuto improvvisamente a mancare lo scorso 2 giugno a causa di un malore improvviso. “Peppe”, come era conosciuto da tutti, aveva prestato il suo ultimo servizio di pattuglia proprio poche ore prima. Poi, una volta finito e tornato a casa, la tragedia. Inutile persino il pronto intervento del 118.
Aveva 60 anni ed era molto conosciuto, in particolare nel capoluogo, per il servizio prestato da molti anni per le strade cittadine, ma anche e soprattutto per le sue doti umane, per il grande cuore grazie al quale si è sempre fatto ben volere dai colleghi e dai cittadini. Ed anche per questo che a dargli l’addio c’erano centinaia di persone, così tante da non riuscire ad entrare tutte presso la chiesa della Sacra Famiglia, nel quartiere Scalo di Frosinone, dove hanno avuto luogo le esequie.
Ad accogliere le bare, le sirene accese delle auto della Municipale, tante divise sull’attenti e il sindaco con la fascia tricolore. Dopo il commiato di un collega e del comandante dei Vigili, Donato Mauro, è stato lo stesso Nicola Ottaviani a voler ricordare Giuseppe Diana. <Per chi lo conosceva, come noi, da vicino, per chi ha avuto l’onore anche di frequentarlo, lui era sempre Peppe, e la cosa che colpiva di quest’uomo è che era un servitore del Comune e dello Stato, era la tranquillità con la quale lui portava avanti il senso della legalità. Non doveva alzare la voce – ricorda il sindaco – non doveva strillare: lui dava dei messaggi che erano talmente precisi, chiari, tranquilli, da poter agire, come dicevano i latini, sereno pacatoque animo, cioè con l’animo sereno e pacato, così come fa un padre di famiglia, perché un padre di famiglia per educare i figli e per trasmettere loro dei valori, difficilmente va fuori dalle righe e difficilmente, soprattutto, alza la voce>.
<L’ho apprezzato spesso – continua Ottaviani – in strada o in varie altre occasioni, quando oltre all’uso del fischietto, quando poteva, lui chiamava i giovani, i ragazzi, e muoveva quella manina dicendo “eh no, così non si fa”. Come se avesse un rapporto di affetto diretto con persone che nemmeno conosceva. Ma quel suo modo di fare attirava il rispetto della gente, verso la divisa, verso queste donne e questi uomini che lavorano abbondantemente più di quanto vengono pagati, e lo fanno perché credono che ancora abbia un senso guardare i giovani sorridendo loro e coniugando anche oggi quello che senso dello Stato e delle istituzioni. E Peppe questo senso forte nell’animo ce l’aveva fino in fondo>.
E allora mi ha colpito prima, anche all’inizio della celebrazione, qualcuno che giustamente ci ricordava come bisogna essere pronti necessariamente, e ha rievocato quello che succedeva in questa parrocchia quando eravamo un po’ tutti garzoncelli, 35 anni fa, quando conobbi Monsignor Angelo Cella nostro vecchio vescovo, quasi mezzo secolo fa. Lui ci trasmetteva sempre la dimensione di un narratore cristiano che scriveva delle preghiere bellissime. In una di esse il personaggio che veniva da lui descritto veniva richiamato dal Signore perché interloquiva spesso dicendo “Signore sì, tu mi hai chiesto di fare qualcosa oggi ma oggi non ho tempo, ti prego, parliamone domani”. E così il rinvio avveniva di giorno in giorno, quando ad un certo punto è costretto a rivolgersi al Signore dicendo “Signore, purtroppo oggi non c’è più il tempo”. Ecco, Peppe ha vissuto ogni istante della sua vita istituzionale, personale e familiare come se attendesse quell’ultimo momento>.
<Pensate un po’, l’altro giorno, il 2 Giugno, lui era lì, ha celebrato la Festa della Repubblica, una cosa a cui credeva e che noi dobbiamo continuare a trasmettere come istituzione e come valore ai nostri ragazzi, e poi è tornato a casa. Questo salto verso quest’altra vita – conclude il sindaco di Frosinone – lui l’ha compiuto con naturalezza. Ecco perché devo dirlo a chiare lettere a Patrizia, a Emiliano, a Cluadio, agli altri familiari: Peppe rimarrà per noi un eroe particolare: l’eroe della normalità. Non bisogna essere necessariamente sotto i riflettori, sopra un palcoscenico o in televisione per essere eroi. E lui ci ha trasmesso questo valore importante, che è quello di essere eroi della normalità. Grazie per avercelo regalato>.
Poi la cerimonia funebre è terminata, la bara è uscita dalla chiesa tra lo scroscio degli applausi e la commozione di amici, colleghi e parenti. E su di essa, prima di viaggiare verso il cimitero cittadino, è stato adagiato il berretto di servizio, quel berretto dal quale lui, in tutti questi anni, non si era mai separato, onorando lo stemma su di esso riportato fino all’ultimo giorno di vita.
Riposa in pace, Peppe!