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Il 25 aprile è, per eccellenza, una ricorrenza unificante: celebra la Liberazione dal nazifascismo, la fine della guerra e l’inizio del cammino democratico dell’Italia repubblicana. Ed è proprio in nome di questa memoria collettiva che le istituzioni sono chiamate, ogni anno, a commemorare l’evento con sobrietà, rispetto e spirito inclusivo.
Tuttavia, quest’anno, a Veroli, il messaggio predisposto per l’80° anniversario solleva più di una perplessità. Nel volantino ufficiale diffuso dal Comune, infatti, campeggia l’immagine di due giovani — simboli delle nuove generazioni — con il braccio sinistro semiteso e il pugno chiuso. Non un gesto qualunque: si tratta di un simbolo fortemente radicato nella cultura politica del Novecento, universalmente riconosciuto come emblema dei movimenti socialisti, comunisti, antifascisti militanti e sindacali.
Una scelta che, proprio perché inserita in un contesto istituzionale, non può essere considerata neutra.

Un simbolo potente, ma divisivo
È indubbio che il pugno chiuso abbia fatto parte della simbologia della Resistenza. Ma è altrettanto vero che la Liberazione non fu opera esclusiva di una sola componente politica. Cattolici, liberali, monarchici, azionisti e socialisti — pur con visioni diverse — contribuirono tutti alla sconfitta del nazifascismo.
Nel dopoguerra, però, il gesto del pugno chiuso ha assunto una connotazione più ristretta e militante, identificandosi con forze di sinistra e movimenti di protesta. Per questo motivo, la sua adozione in un documento ufficiale del Comune può essere letta come una scelta ideologica, o quanto meno come una mancanza di attenzione verso la pluralità di significati e memorie che il 25 aprile dovrebbe rappresentare.
Comunicazione istituzionale e sensibilità collettiva
Il manifesto in questione non è firmato da associazioni partigiane o da forze politiche, bensì riporta lo stemma del Comune di Veroli. Ed è proprio questa la radice della criticità. Le istituzioni, in quanto rappresentanti dell’intera comunità, dovrebbero evitare l’uso di simboli fortemente connotati, a maggior ragione quando si tratta di ricorrenze solenni e fondative come il 25 aprile.
Nel manifesto non vi è alcuna spiegazione, nessuna contestualizzazione del gesto. Manca cioè quel necessario equilibrio che dovrebbe guidare ogni messaggio pubblico, soprattutto in ambito commemorativo. Il rischio, in questi casi, è quello di trasformare una celebrazione unificante in un atto divisivo, di appropriazione simbolica.

La memoria non è di parte
Difendere la memoria della Resistenza non significa ridurla a una narrazione monocorde. Significa, semmai, riconoscere la complessità storica, le diverse sensibilità che vi hanno preso parte, e rendere giustizia alla dimensione corale del riscatto nazionale. Il 25 aprile, proprio per il suo valore fondativo, non può e non deve essere appannaggio di una sola visione ideologica.
Utilizzare il pugno chiuso — senza spiegarlo, senza contestualizzarlo — in un volantino istituzionale è una scelta che può essere percepita come faziosa, anche laddove l’intenzione fosse solo simbolica o artistica. Ed è proprio per evitare ambiguità o malintesi che i simboli usati dalla comunicazione pubblica dovrebbero sempre essere il più possibile condivisi, trasversali, inclusivi.
Conclusione
Il caso del volantino del Comune di Veroli non riguarda tanto la legittimità del simbolo, quanto la responsabilità di chi comunica in nome delle istituzioni.
Quando si maneggiano i simboli della storia, serve attenzione. Perché la memoria, se vuole restare patrimonio comune, non può permettersi scorciatoie retoriche né rischi di strumentalizzazione.
La libertà conquistata il 25 aprile si difende anche così: scegliendo parole e immagini che uniscano, non che dividano.
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