domenica 12 Maggio 2024
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Il tatuaggio paramedicale: l’evoluzione di un’arte che va oltre l’estetica

Incontro con Toni Belfatto nel suo studio di Casoli (Chieti)

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Il settore del tatuaggio paramedicale sta vivendo una significativa evoluzione, con sempre più persone che scelgono di ricorrere a questa forma d’arte per raggiungere scopi che vanno oltre l’estetica.

Ho avuto il piacere di intervistare Toni Belfatto, un vecchio amico, un imprenditore di successo nel campo del tatuaggio paramedicale, che ha offerto una prospettiva unica su questa pratica in continua crescita.

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Durante l’intervista, Toni ha sottolineato come il tatuaggio paramedicale non si limiti più a semplici decorazioni sulla pelle, ma abbia abbracciato un ruolo importante nel settore medico. Oltre a coprire cicatrici e imperfezioni, il tatuaggio paramedicale viene utilizzato per migliorare l’aspetto di pazienti che hanno subito interventi chirurgici o che soffrono di condizioni come l’alopecia o la vitiligine. Questa tecnica offre una soluzione duratura e sicura per migliorare la fiducia in sé stessi e l’autostima di queste persone.

Nel corso dell’intervista è emerso che il tatuaggio paramedicale non riguarda solo l’aspetto fisico. Durante l’intervista, Toni ha evidenziato i risvolti psicologici positivi dell’azione tatuatoria che aiuta a superare le sfide emotive connesse alle condizioni estetiche del paziente.

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Toni ci ha anche parlato della tricopigmentazione, il processo che coinvolge l’applicazione di pigmenti sul cuoio capelluto per simulare la presenza di capelli. Questa tecnica rappresenta una svolta nel campo della calvizie, offrendo una soluzione efficace ed esteticamente apprezzabile per chiunque desideri ridisegnare la propria linea di capelli. Abbiamo scoperto come questa tecnica innovativa, non chirurgica e a lunga durata, per uomini e donne, sia in grado di migliorare la propria immagine e recuperare la fiducia in sé stessi. L’effetto è così realistico da rendere difficile distinguere tra capelli veri e tricopigmentazione.

L’interessante incontro ha gettato luce su un settore in costante crescita, in cui l’arte del tatuaggio si fonde con la medicina per migliorare la vita delle persone. Il tatuaggio paramedicale offre una soluzione estetica e psicologica per coloro che desiderano superare le barriere imposte dalle imperfezioni fisiche.

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Grazie all’impegno di imprenditori visionari come Toni Belfatto, il settore continua a crescere e a offrire nuove opportunità per coloro che cercano una soluzione permanente e significativa per migliorare la loro qualità di vita.

Se hai domande o curiosità, scrivimi nei commenti o a dambrosio.miki@gmail.com e farò del mio meglio per risponderti presto.

Alla prossima!

Michele D’Ambrosio

L’INTERVISTA

Cari amici buongiorno! Sono a Casoli, in un bellissimo studio per una chiacchierata, con Toni Belfatto, titolare della Belfatto Lab. È un piacere e voglio dirti grazie per questo incontro. Sei sempre molto impegnato ma hai dato spazio alla mia visita e sei stato gentile accettando quest’incontro.

L’incontro di oggi è sui generis, infatti incontriamo una persona che conosco da più di vent’anni e di cui ho seguito l’evoluzione personale e professionale. Una persona che stimo molto e a cui sono legato da profonda amicizia. L’unico aggettivo che mi sento di tributargli è “accogliente”. Ho avuto occasione di osservarlo in diverse circostanze private e pubbliche e Toni ha l’attitudine di accogliere l’interlocutore nel suo mondo con il calore, garbo, empatia, indipendentemente dal contesto in cui ci si trovi. É veramente merce rara tra noi umani. Intanto, entriamo nel vivo. Toni ti ringrazio ancora per quest’incontro hai piacere di presentarti ai nostri ascoltatori?

Buongiorno per tutto il giorno e innanzitutto grazie a te Michele che sei un “amico di sogni” ormai di lunga data e ci tenevo a dirlo a voi tutti. Io sono Toni Belfatto e sono nato in un piccolo paesino dell’entroterra abruzzese che invito tutti a visitare. Sono padre di Edoardo marito di Anna. Come diceva Michele, titolare di alcune società che si occupano del mondo dell’estetica, soprattutto di una deframmentazione della stessa, cioè il mondo della dermopigmentazione. Forse questo termine è ancora poco conosciuto ma ha delle specializzazioni forse un pò più note, ad esempio, il tatuaggio artistico, poi c’è il trucco permanente, la dermopigmentazione para-medicale e la tricopigmentazione, queste sono quattro specializzazioni di questa grossa categoria.

Mamma mia Toni! Tanta roba. Allora, mettiamo ordine così anche chi ci ascolta riesce ad unire i puntini. Com’è iniziato tutto Toni? Io lo so, ma sarebbe bello che tu lo divulgassi.

Allora, è iniziato tutto con un grande sogno, cioè quello di diventare steward, il mio sogno era quello di volare, perché Casoli era un piccolo paesino di 6000 anime e da piccolo, per raggiungere una discoteca, dovevo fare un’ora di macchina. Per andare al ristorante giapponese dovevo fare mezz’ora di macchina, per andare al cinema dovevo fare mezz’ora di macchina. Quindi il bello, il magico stava fuori da Casoli, quindi per me l’aereo era il mezzo che mi permetteva di raggiungere le cose magiche che stavano al di fuori del mio paese, ed io ho studiato per questo, ho fatto il liceo linguistico, poi lingue e letteratura straniere, però a un esame dalla laurea ci sono quelle farfalle nello stomaco che girano forte quando tu incontri la passione della tua vita e io ho avuto modo di avere contatto con il mondo dei tatuaggi. Io ho sempre amato disegnare però non ho mai visto questa pratica come un lavoro no, immaginavo che i pittori sulla Senna che stavano ore e ore per vendere poi il quadro a 15 €, vedere più che altro come un hobby il mondo del tatuaggio e del disegno e quindi nel frattempo contestualmente continuavo a studiare. Mio padre aveva un istituto di bellezza sempre a Casoli ed io ho iniziato a fare i miei primi tatuaggi ad amici e parenti e piano piano la cerchia si allarga e mi sono accorto che il “tam tam” funzionava e quindi poi mi sono accorto che in un giorno, riuscivo a guadagnare quello che mio padre guadagnava in due settimane di lavoro tagliando i capelli, e probabilmente quel giorno capii che questo è un lavoro e quindi li io lasciai un po’ l’aereo e mi dedicai completamente all’azione tatuatoria.

Ora iniziamo a capire di più grazie. Quindi, tatuaggi certo. Ma, a oltre quell’orizzonte da tatuatore apprezzato che oggi ti è riconosciuto cosa c’è dopo il primo parametro diciamo del raffronto tra ciò che sembrava un hobby da curare nei ritagli di tempo e poi il parametro con l’iniziale riuscita. Qual è stata la scintilla, la prateria da conquistare che altri non vedevano? Qual era il vero progetto irrinunciabile?

In quel periodo, parlo del 1990, non vedevo molto oltre la linea, la sfumatura, la colorazione. No, non avevo progetti ben definiti. Ma, la cosa che mi ha aiutato molto sono state due caratteristiche del mio carattere, una è la curiosità e l’altra è la noia. Io mi annoio molto spesso delle cose che ripeto quotidianamente; quindi, dopo 4/5 anni che facevo tatuaggi, mi ero stancato di fare i soliti cuoricini, le farfalline e quindi la curiosità mi ha permesso un po’ di capire con questo ago e con questo colore che cosa potessi fare oltre ad un cuoricino. Quindi nel centro estetico di mio padre dove andavano persone a depilarsi le sopracciglia perché ne avevano tante, andavano anche tante persone che ne avevano poche, e allora mi sono detto: “ma se io facessi una linea sul sopracciglio, quindi tanti peletti disegnati io potrei trasferire l’azione tatuatoria da un mondo simbolico, da un mondo più di moda a qualcosa di più estetico che andava a ripristinare delle condizioni che probabilmente non c’erano più: la mancanza di peli”.

E da lì io ho iniziato quindi a fare trucco permanente. Tutto, quindi, il mio secondo step è stato il trucco permanente.

Certo, tutto chiaro, si iniziava un po’ a definire il perimetro, un nuovo perimetro di gioco e quindi è proprio una dimostrazione professionale che rappresenta un percorso: si cresce e ci si perfeziona. So che ti infastidisce, Toni, la parola successo, perché ritieni che sia una valutazione che compete ad altri e, quindi, ti formulerò la domanda in questo modo: indipendentemente dai numeri e dal fatturato qual è stato, se c’è stato, un momento in cui dentro di te, come dire, come professionista stava cambiando qualcosa; l’istante in cui hai detto a te stesso, Toni è questo il modello di business da affinare e su cui lavorare; oppure, questo è il sistema dei valori, la tua unique value proposition, attraverso cui sei in grado di intercettare il tuo pubblico e fare la differenza, insomma Toni, sei soddisfatto?

Bellissima domanda e me lo aspettavo, anche perché finora io ho parlato della mia attività che copriva un settore che è quello dell’estetica e quindi che colmava un gap nel mondo del tatuaggio artistico e del trucco permanente, ma non colmava la mia necessità, la mia esigenza di essere utile a delle persone che soffrivano per degli inestetismi.

Quindi mi stai parlando di un’aspirazione che covava, che cresceva dentro di te?

Si, di giorno in giorno l’etica del lavoro mi portava a riflettere che probabilmente le persone che dovevo servire, non dovevano essere solo dei clienti, ma anche dei pazienti, ovvero quelle persone che venivano da me perché avevano dei segni indelebili provocati da operazioni chirurgiche, da patologie, e quindi il chirurgo in qualche modo. Faccio un esempio: in una mastectomia, un tumore al seno il chirurgo ha l’obbiettivo principe di salvare una vita; quindi, deve rimuovere il complesso areola e capezzolo, perché ha quell’obbiettivo principe. Le persone, però salve, molte volte perdono davanti allo specchio la dignità di donna e quindi non si riconoscono e lì subentra un’altra problematica, che è quella psicologica. Lì mi sentivo in dovere di poter intervenire perché avevo i mezzi per poterlo fare, nella ricostruzione del complesso di areola e capezzolo, quindi con le attività della dermopigmentazione paramedicale, io potevo ripristinare i volumi e i colori di un capezzolo sano, ri-conferendo, così, non solo estetica ma soprattutto autostima.

Tornare a riconoscersi, la riconoscibilità di se stessi. Sì. Quindi da quelle due attività che ho descritto poc’anzi mi sono spostato completamente verso due attività più nobili, che sono la dermopigmentazione paramedicale e la tricopigmentazione, cioè quell’attività che serve a risolvere i problemi di calvizie andando a creare illusione ottica della presenza di capelli dove non ci sono e quindi ecco ho capito che quello era il mio mondo e infatti grazie a queste due attività oggi giro il mondo perché sono state brevettate da me nel 2004 insieme al mio socio Ennio, e grazie a questi due brevetti ci chiamano un po’ in tutto il mondo per conoscere queste attività complementari a quelle chirurgiche.

Complimenti! Ecco, torno un attimo solo sulla risposta perché un aggettivo mi ha colpito. Quando hai definito queste attività con l’aggettivo “nobili” stiamo intendendo, correggimi se la mia deduzione non è esatta, stiamo tenendo una netta linea di demarcazione da ciò che era il primo track, il primo percorso svolto con l’artistico e quindi soddisfare un vezzo del cliente e fissare una data piuttosto che una bella immagine da mostrare l’estate in spiaggia alla nobiltà che richiede anche da parte del professionista un approccio diverso perché mi hai parlato di entrare in punta di piedi nella psiche dell’interlocutore che ha da risolvere il problema magari allo specchio, post operatori.

Assolutamente si. La prima attività lascia un segno indelebile sulla pelle, è un’attività decorativa, simbolica. La seconda cancella un segno indelebile che si trova nell’animo di alcune persone, condizioni che sono cambiate a causa di operazioni o interventi chirurgici.

Fantastico. Allora, adesso diamo ai lettori un momento verità. Io posso farlo perché noi ci conosciamo veramente da più di vent’anni. Chi ti incontra oggi, però, vede un giovane uomo impegnato ed affermato, magari sfoglia delle riviste e ti conosce per qualche servizio, qualche altra intervista che avrai rilasciato, ma non sa che la fotografia odierna ha origini lontane. Cioè, voglio ricordare, siamo ai primi anni 2000, le volte in cui con il tuo socio Ennio che prima hai citato e la giovane Anna (all’epoca non eravate ancora sposati), partivate dall’Abruzzo per i contatti con alcuni centri estetici a Roma. Io, all’epoca, facevo il dottore commercialista e vivevo in città; a fine giornata ci si ritrovava per mangiare un boccone in trattoria e, tra un bicchiere di vino e una risata, ci raccontavamo difficoltà, ci raccontavamo aspirazioni e piccole soddisfazioni dei rispettivi lavori e poi si dormiva a casa mia in Via Merulana. Poi, la mattina, un bel caffè insieme e tutti in pista. Ecco, il legame professionale con Ennio è ancora saldo. Andiamo un attimo sul terreno dei luoghi comuni: lo sai, si dice, infatti, che la migliore società è quella costituita da un numero di soci dispari meno di tre. Allora, il sodalizio con Ennio dura da anni, ce ne puoi parlare? Ci sono stati momenti di crisi? Qual è il segreto di questa coppia d’attacco vincente, Toni?

È vero. Gli anni 2000 ci vedevamo a casa tua in Via Merulana e ci raccontavamo la vita e allo stesso tempo vivevamo la vita e quindi è stato un periodo bellissimo della mia esistenza. Con Ennio ho aperto la mia prima società, la Orsini e Belfatto, e penso che questa società sia nata per un valore fondamentale che è il valore dell’amicizia e dell’affetto, anche se, a volte, si dice che bisogna evitare di lavorare con parenti, amici perché è molto rischioso, ovviamente nel tuo stile quando una cosa viene ripetuta tu la devi provare! Si, è una sfida che abbiamo vinto e che continuiamo a vincere. Rispondo a tutte queste tue domande dicendoti che ci sono stati momenti di crisi, che ci sono stati momenti difficili anche per la società, però penso che uno dei segreti sia stato che entrambi non avevamo un interesse comune che era quello di fare business, ognuno di noi aveva delle società esistenti, sane, che comunque producevano reddito per ognuno di noi, e abbiamo aperto questa nuova società, quindi intendi che  ognuno aveva la sua sfera di attività che dominava e governava autonomamente? Assolutamente sì, questo era un di più, la vostra palestra, un parco giochi! Sì, perché io avevo il Belfatto Group che poi aveva diverse altre società, e lui aveva il Deco Studio e noi siamo stati per anni i più grandi competitors tra di noi perché noi facciamo lo stessissimo lavoro quindi un cliente doveva scegliere se andare da me o da Ennio, e questa sana competizione giornaliera, perché se lui faceva una cosa figa io lo dovevo superare per farne una più figa e lui di conseguenza faceva questa cosa nei miei confronti, ma questa sana competizione è andata giornalmente ad alimentare la società comune che avevamo insieme perché la società comune non era un’ ulteriore società che offriva servizi al cliente finale ma era una società che produceva attrezzature, pigmenti per i professionisti che come noi si serviva dei prodotti, quindi io e Ennio eravamo i migliori clienti di questa nostra società insieme ad altri 5000 clienti che hanno deciso di seguirci, quindi all’inizio è nata un po’ come un gioco, la voglia di stare insieme e divertirci insieme e poi ci siamo accorti che è diventata una macchina da guerra perché oggi è una società che ha 10 dipendenti, ha dei fatturati importanti ma per noi continua ad essere un giocattolino che gestiamo in maniera attenta ma non la frequentiamo come frequentiamo le nostre società individuali, forse questo è il nostro segreto!

Una bellissima storia, da quel che dici, parlando con gli occhiali, con le lenti del markter è stato un laboratorio che ha funzionato ed ha accolto due competenze. Ha funzionato come laboratorio generando un modello di business che è la testimonianza per tanti, noi in Italia siamo diciamo contaminati da questa tossina del competere anche con il vicino di negozio. Tuttavia, è stato un laboratorio che ha portato in emersione un modello vincente, cioè fare squadra, fare rete è possibile anche se si fa il medesimo lavoro con la medesima fascia di clientela il medesimo target ed è possibile diciamo a beneficio dei tanti è un motivo di ulteriore riflessione si può fare, Si può fare.

Toni, dietro ogni tatuaggio quindi ci sono motivazioni diverse l’abbiamo detto anche prima parlando della differenza di approccio tra decorazione e la nobiltà che entra nel territorio dell’aiuto. C’è chi decide per vanità, chi per tendenza, chi per fissare sulla pelle un ricordo come una data eccetera. Però, ecco, rientra questo tema e io ricordo una volta mi hai raccontato che sempre più spesso la tua professione il tatuaggio si incrocia con storie ancor più significative, quando ti ascoltavo in effetti capivo che il tuo lavoro ti conduceva in un territorio che definirei un territorio limite. Cioè, oltre quello spazio terminava l’approccio del tatuaggio figo passami il termine e si rientrava nel territorio dell’aiuto al cliente che aveva la necessità come posso dire, di risolvere un nodo psicologico. Ecco, Toni, come aiuti questo tipo di clienti a sentirsi meglio con se stessi, come ti poni in questi casi cioè, la cassetta mentale degli attrezzi del professionista cambia come ti rapporti a loro e da queste riflessioni immagino sia definitivamente nata l’epoca della tricopigmentazione del tatuaggio estetico, è corretto?

Assolutamente sì. Tu hai parlato benissimo di cassetta mentale, tant’è vero a volte mi piace definirle un po’ come dermopigmentazione psicologica perché la sfera psicologica è la prima che io vado ad esplorare prima di trattare qualsiasi cliente, la tricopigmentazione e la dermopigmentazione paramedicale, abbiamo detto che vanno a risolvere degli inestetismi quali per esempio esiti cicatriziali, in seguito a delle mastoplastiche oppure chi ha problemi di vitiligine, queste discromie sulla pelle o persone che hanno delle smagliature o delle cicatrici da incidenti quindi generiche o nel caso della tricopigmentazione anche cicatrici dall’auto trapianto di capelli o persone che hanno un’alopecia universale o areata. Capisci che queste sono delle descrizioni un po’ tecniche del problema, ma questo disagio estetico può essere vissuto in maniera soggettiva e personale; è lì che il professionista deve essere bravo a comprendere chi è un buon candidato a sottoporsi a questa pratica, molte volte ci sono delle persone e oggi abbiamo la possibilità di vederne tanti, di persone che soffrono di disformismo, cioè non riescono ad accettare il proprio corpo nonostante sia un corpo bello e quindi vogliono andare oltre, seni giganti, labbra enormi, persone che quasi non si riconosco rispetto ad anni prima e molte volte può succedere anche nel mio mondo che anche dei piccoli inestetismi illeggibili agli occhi degli altri le persone leggono quel problema, il classico punto nero su foglio bianco, loro pensano che il puntino nella maglietta lo vedrà il mondo e vanno in crisi. E questo se ho capito bene non è l’interlocutore ottimale per te, no perché le mie possibilità tecniche non riusciranno mai a soddisfare le sue aspettative, è meglio una brutta verità e non una bella bugia, è un processo senza fine, che ti porterebbe nel suo mondo sempre di più, sempre di più, sempre di più!  Bravissimo e quindi ecco è fondamentale entrare prima nella psiche delle persone con una consulenza che a volte dura anche 1 ora, 1ora e mezza, per capire veramente dove lui ha disagio, perché se lui ha disagio sulla pelle allora questo disagio può essere trattato, ma se questo disagio è solo a livello psicologico del soggetto lì è molto difficile intervenire e bisogna rifiutare il lavoro! Capisco, grazie, mamma mia. Si entra in un mondo dove non è ammesso per restare interessanti professionisti credibili bisogna accompagnare la professionalità con grazia, con garbo e delicatezza altrimenti non se ne viene fuori.

E senti invece nella carriera hai fatto tante cose giuste ma ci sarà stato il mondo degli errori, cioè gli errori commessi, che cosa certamente dopo quell’esperienza non rifaresti oppure la più grande delusione?

Allora, errori tecnici tanti, tantissimi in qualsiasi campo applicativo però li ringrazierò per tutta la vita perché grazie a questi errori probabilmente ho sviluppato degli atteggiamenti tecnici e delle procedure che oggi mi permettono di non sbagliare, e quindi chi oggi dice che l’errore è all’opposto del successo dice cavolate quando per me l’errore è alla base del successo, perché grazie ad errori ripetuti che una persona si scherma e capisce come non sbagliare, e quindi ben venga un errore, l’importante è che non ci si abitui, sì anche perché ci sarebbe una fila di recalcitranti in sommossa contro di te, e nella vita professionale ecco errori non tecnici anche lì ne ho commessi tanti, ecco la mia più grande delusione è quello di avere creduto che come la storia d’amicizia con Ennio poteva andare e va oggi verso un lieto fine, mi aspettavo che questa cosa potesse succedere anche con altri amici, e invece nella mia vita ho cercato di aiutare un amico di sempre, il mio migliore amico in un momento di crisi, invece questa cosa, poi, si trasformata in un crollo dell’amicizia. È proprio un’antitesi, un’opposizione e forse il segreto che ho svelato prima adesso lo leggo in maniera differente, lì non c’erano disinteressi, lì da parte mia c’era un interesse all’aiuto, da parte sua c’era un interesse economico e quando poi non c’è l’amicizia che regola le leggi dei numeri, e quest’amicizia non è così forte, questo è quello che succede.

Ma in quei momenti, perché diciamo ormai quando possono essere successi questi episodi eri già sul mercato, avevi già delle contromisure, diciamo l’esperienza ti aveva portato a comprendere che c’era da valutare, da ponderare eventuali slanci, ma non c’era una vocina interiore che ti suonava dentro e diceva “Toni, ma attenzione perché secondo me…”, questa vocina interiore c’era? E se c’era l’hai ascoltata sapendo che prima o poi c’era gettone, un obolo da versare per aver comunque creduto che quel modello di Ennio potesse funzionare anche con tutti?

C’era, c’era la vocina interiore, e ce n’erano tante esteriori e quindi lì è stato più forte il cuore che ha impedito di ascoltare chiunque e di portare avanti un rapporto che speravo fosse idilliaco, però dai anche quello… nella bisaccia delle esperienze.

Certo, momenti di difficoltà ci hai accennato ce ne sono stati, diciamo uno se ti va di raccontarlo ma soprattutto per raccontare ai nostri amici e non tanto per l’episodio in sé ma qual è il mindset per gestire emozioni negative e superare il momento difficile?

Penso che, come in ogni settore, ci siano dei momenti difficili, e questi momenti difficili devono essere affrontati, cercando di trovare delle soluzioni. Qui entra in gioco la scala dei toni motivi, c’è una vera e propria scala, l’entusiasmo, la logica sono tutte emozioni che ti permettono anche nei momenti difficili o quando incontri dei problemi di trovare delle soluzioni.

Poi ci sono altri toni, quelli dell’ antagonismo, della rabbia, dell’ostilità nascosta, ecco questi sono dei toni emotivi che ti fanno trovare solo problemi, cioè ad un problema trovi un altro problema, categorie tossiche, poi ci sono altri tipi di motivi tipo l’apatia, la noia, la depressione dove lì non trovi ne soluzione ne problema ma c’è l’autodistruggimento. Allora io ho trovato probabilmente la ricetta della mia felicità che anche quando scendo di tono emotivo cerco di risalire. Come? Ascoltando persone che mi fanno sorridere che mi fanno stare bene, fare dello sport perché mi aiuta, aiutare delle persone perché l’aiuto in qualche modo ti gratifica, crea un’aspirale virtuosa, l’etica dell’eccellenza è fatta di diversi bicchierini, c’è quello del sociale, io amo aiutare le persone perché indirettamente poi in qualche modo mi riporta su i toni emotivi e lì trovo sempre soluzioni a qualsiasi problema. Quindi questa è la cassetta degli attrezzi per uscire dalla zona grigia.

Entriamo un attimo in azienda, non per fare i ficcanasi ma anche qui per cercare di dare consigli di ampio spettro a imprenditori, giovani imprenditori che si stanno affacciando, cioè l’equilibrio finanziario dell’azienda, inteso più come sfida per la crescita o per il consolidamento. Cioè la ricerca e sviluppo o consolidamento o solo crescita forsennata, crescere crescere crescere, qual è l’equilibrio secondo te vincente?

Il segreto di un imprenditore o di un’impresa è quello di avere sempre sotto controllo il cruscotto fiscale di un’azienda; il cruscotto fiscale io lo immagino proprio come il cruscotto di una macchina dove c’è un contachilometri che probabilmente corrisponde al fatturato, il contagiri che corrisponde agli utili, poi c’è la spia che sono le liquidità, ecco questo cruscotto aziendale tenuto sempre sotto controllo gestendo la crescita dell’azienda grazie a degli investimenti continui da parte dell’azienda nella ricerca e sviluppo, cioè una parte dell’azienda deve essere automaticamente rigirata nella ricerca e sviluppo per nuove idee, per essere moderni, attuali ma stesso tempo però quegli utili in qualche modo vanno anche consolidati, quindi le due attività sono complementari, non bisogna pensare solo alla crescita, in verticale come spasmodica aspirazione di soddisfazione di un numerario che cresce, perché ci sarebbe il rischio che domani il castello crolla ma invece?

Il mio modello è un modello più piramidale la crescita quindi di un primo livello in maniera non solo quindi verticale ma poi orizzontale una volta che è stato consolidato questo step, si pensa di nuovo alla crescita per riconsolidare il secondo livello, quindi deve essere una crescita verticale ma lo stesso tempo orizzontale per garantire la stabilità dell’azienda e non permettere che un qualsiasi imprevisto possa far oscillare quella fila di mattoncini.

Rimanendo in azienda, Toni, una considerazione, un approccio vincente secondo te con lo staff, i collaboratori. Cosa guardi in loro o nel nuovo potenziale candidato a entrare in staff, la visione condivisa o la figura di un semplice impiegato?

Quando parlo dello staff mi vengono in mente due grandi insegnamenti che mi sono stati dati in passato da persone che io stimo molto, e che hanno fatto tanto nella vita, uno è riflettere che è meglio guadagnare l’ 1% di 1 milione di euro e non il 99% di 1000 euro e questo automaticamente ti porta a riflettere sul fatto che hai bisogno di più persone per poter arrivare a questo obbiettivo e guadagnare anche a meno di loro ma senza essere dipendente dalla tua attività primaria. L’altro è prima il chi e poi il cosa, prima di qualsiasi progetto bisogna intercettare la persona adatta a far sì che questo progetto possa funzionare, quindi penso che da soli si va veloci ma insieme si va lontani, quindi ecco qui ti ho risposto che per me lo staff è fondamentale in ogni società ci sono delle figure manager che hanno la piena responsabilità assunta, e in ogni divisione ci sono delle persone che decidono di collaborare con noi perché hanno in mente l’obbiettivo comune, hanno chiari i valori dell’azienda e quindi a prescindere che sia un manager o l’ultimo della filiera; dicevo che l’interesse comune tra la prima linea quindi il manager e le linee successive è lo stesso e tutti hanno ben chiara la direzione, lo scopo e la meta dell’azienda e tutti hanno degli obiettivi personali legati a degli incentivi personali. Quello che dicevamo prima, io sono un po’ “contro tendenza” per quanto riguarda i rapporti dei collaboratori, cioè il collaboratore ha un contratto nazionale che prevede uno stipendio in base alle ore di lavoro, all’interno dei miei gruppi le persone oltre a questo contratto hanno un contratto con me personalmente, che sono il raggiungimento di alcuni obiettivi che insieme noi programmiamo che sono loro personali e dell’azienda e in base al raggiungimento di questi obiettivi c’è un ulteriore compenso, oltre a quello nazionale, in questo caso penso che tutti abbiano la stessa voglia di arrivare, quindi un coinvolgimento ulteriore attraverso questo contratto personale che è un plus che si innesta al contratto nazionale di lavoro, e ti assicuro che molti di loro però continuano a lavorare con me ormai da 15 anni, 16 anni, 18 anni, e sono tutti ragazzi, e ce ne sono tanti, che lavorano con me da tantissimo e non è solo per l’aspetto economico perché probabilmente quando sono stati assunti per valori, per etica e non per competenze, le competenze sono state trasferite, il carattere, l’etica di una persona non la puoi trasferire e questo forse è anche l’altro segreto per i rapporti lunghi tra imprenditore e collaboratore.

Un altro manager che avevo incontrato, parlando diceva giustamente questo, non cerchiamo scienziati ma persone di buon senso, perché se han voglia e capiscono dove stiamo andando ci sarà sempre qualcuno a trasferirgli competenze che impareranno, valori che sono patrimonio personale è difficile riuscire a trasferirli, quindi noi cerchiamo il profilo che abbia buon senso e voglia di crescere e su quello noi travasiamo esperienza.

Senti Toni ti volevo dire questo, quando ogni tanto incontro la mia anziana mamma, mi chiede come va, ma questi incontri con mia mamma, poi quando lascio mia mamma rifletto, e adesso rifletto con te, che se 20 anni fa avessi detto a mia madre che intendevo occuparmi di comunicazione di impresa o che un mio amico viveva, come nel tuo caso di tatuaggi, ci avrebbe caldamente invitato a cercarci un lavoro vero, un posto in azienda, “che state a fa?”. Oggi, fortunatamente, le rispettive occupazioni hanno uno spazio riconosciuto nel panorama professionale, ma guardando al domani possiamo solo immaginare con approssimazione quali saranno le nuove figure professionali del futuro. Ecco, secondo te, il sistema di valori che ti ha guidato fino ad oggi sarà ancora valido ad accompagnare la Toni Belfatto o l’attività di impresa nel domani? Cosa cambierà?

Allora, penso che ci siano degli ingredienti fondamentali che saranno validi e sono stati validi nel passato, sono validi nel presente e lo saranno nel futuro: uno è il coraggio, il coraggio di seguire una passione reale e di pensare in maniera coraggiosa e contro intuitiva. Che cosa vuol dire, io quando ho iniziato a fare i tatuaggi a Casoli, un piccolo paesino di 6000 anime, le attività del 1989 di tatuaggio erano legate più ad un utilizzo meno nobile, cioè carcerati, portuali, drogati, quindi quando ho iniziato a fare i tatuaggi immaginate, il mio studio era visto come un “refugium peccatorum”, cioè Toni “vade retro Satana”, però io sentivo forte questa passione dentro e io sapevo che, al contrario dell’icona riconosciuta in quel periodo del tatuato classico, io invece, volevo portare avanti non la figura stereotipata che si conosceva ma un’altra figura che è quella del tatuaggio ma in giacca e cravatta, che comunque non fuma, non si droga: Ecco la mia è stata una lotta contro un’idea, uno stereotipo, ed è stata molto dura perché all’inizio probabilmente ho avuto contro molte persone, compresa anche la mia famiglia, perché dicevano, “ma perché non ti metti a fare il parrucchiere?” “Vai a lavorare in banca!”, ma lì io ho avuto il coraggio di seguire la mia passione e soprattutto anche se non considerata normale, ma ecco, pensiero contro intuitivo, che ecco mi ha portato dove sono oggi, quindi domani io penso che questo possa essere comunque una stella polare, che possa guidare altre aziende.

L’elemento, se guardo con lo specchietto retrovisore, in buona sostanza rientra sempre prepotentemente questo concetto della disruption, cioè seguo la vision perché poi vi ricrederete, che poi è stata una promessa riuscita, l’altra, il coraggio di guardare, di avere la visione e provarci, poi questa sarà la stella polare per l’azienda.

Allora, Toni, stiamo per entrare nel rush finale; quindi, alzo se sei d’accordo il ritmo, con due o tre domande, con risposta quasi secca. La prima però si riaggancia ad un concetto che mi è piaciuto tantissimo dello sguardo al sociale, del sentirti in dovere e piacere di fare per gli altri, donare. A margine del concetto donare mi viene la parola gratitudine, ti va di fare una considerazione, un grazie a chi, un grazie a cosa?

Allora, un grazie penso che vada ai miei genitori perché non mi hanno mai ostacolato, hanno sempre creduto in me e qualsiasi cosa scomoda, non mi hanno mai ostacolato, la mia famiglia attuale, quindi mia moglie e mio figlio che per anni hanno vissuto la mia assenza, cioè io sto spesso fuori nei congressi e quindi loro partecipano a comunioni, matrimoni sempre da soli, in rappresentanza, e quindi un grazie alla loro forza ed intelligenza nel gestire questo rapporto letto difficile una rapporto difficile,  grazie un po’ a qualcuno che sta lassù, che in qualche modo mi ispira,  mi dà sempre bricioline per terra che io seguo emi portano sempre in un posto fantastico.

Senti Toni allora andiamo, alziamo il ritmo, le due/tre abitudini irrinunciabili per te?

Lavorare, viaggiare e amare, queste sono le 3 abitudini.

Fantastico! E poi andiamo sul terreno delle passioni. Ti dico amici e sfondo una porta aperta, diciamo una delle nostre principali occupazioni in cui possiamo categorizzarci come quasi cinture nere della categoria della passione per gli amici e la frequentazione, ma c’è anche qualcos’altro poi oltre amicizia?

Allora, dentro di me riconosco che ci sono due grosse figure, un angelo e un diavolo. Il diavolo perché mi porta verso tutto ciò è tentazione, cioè io amo la cucina, io amo il buon bere, amo la convivialità, amo come hai detto tu il divertimento sano con gli amici. Dall’altro lato però c’è l’angioletto che la mattina mi fa alzare alle sei tutti i giorni, io hai una passione, è quella dello sport perché mi fa stare bene psicologicamente, in qualche modo annienta anche qualche caloria della sera prima e quindi questa è una delle passioni. L’altra probabilmente è quella di aiutare le persone, ripeto, perché quando vado a fare la donazione all’Avis, torno e mi sento ricco, quando organizzo un evento in beneficenza io mi sento ricco, e quindi questa è una passione a cui non intendo rinunciare.

Allora, la panoramica credo sia stata riempita con tanti contenuti con questa conversazione, adesso stiamo per tirare le somme e direi una piccola provocazione, hai a disposizione pochi secondi e un unico consiglio da dare a tuo figlio o ai ragazzi della sua età.

Allora, di vivere nel concetto dell’abbondanza e non nel concetto dell’abbastanza, in qualsiasi cosa. In qualche modo ognuno deve pensare che tutto dipende da se stesso e quindi dai un valore, una scala di quello che puoi realizzare, di non accontentarsi; cioè, se hanno raggiunto un risultato, ecco quello dovrebbe essere considerato il punto di partenza e non il punto di arrivo e parlo a livello fisico, a livello mentale, a livello economico, io ricordo che le prime volte quando iniziai a guadagnare 100.000 lire per un tatuaggio, per me quello era tanto, era tantissimo. Però ho sempre pensato che probabilmente avrei potuto guadagnare di più se avessi fatto qualche scelta migliore, quindi quando tu parli del concetto di abbondanza intendi abbondanza nell’aspirazione che ha una sua contropartita poi nelle cose pratiche da fare nell’abbondanza di applicazione, abbondanza di studio, abbondanza di accrescimento di se stessi?

Assolutamente sì, assolutamente sì!

Allora Toni, ti ringrazio è stato veramente bello incontrarti e incontrarci su questo terreno a beneficio di tanti. Siamo a un punto ricorrente dei miei incontri, prima di salutarti, mi farebbe piacere domandarti quello che faccio sempre, la domanda che non ti ho fatto e alla quale avresti voluto rispondere?

Marzullo docet! Allora, “descrivimi la vita per te?” Ecco, questa è una domanda che spesso io mi faccio, e a volte ho veramente difficoltà a rispondere. Quindi, tutto ciò che è difficile, quindi che mi fa uscire dalla mia zona di comfort, mi piace, mi eccita, tutto ciò che è sconfortante ecco mi eccita, e quindi ecco perché mi sono fatto una domanda alla quale non so rispondere, però io penso che la vita in genere debba essere vissuta a pieno, cioè tutti pensiamo sempre a stare attenti alla salute, quindi il nostro obbiettivo è quello di allungare la nostra vita, quando invece secondo me la dovremmo allargare, cioè dobbiamo pensare più ad allargare la vita che non ad allungarla, metterci tutto ciò che ci puoi mettere ogni giorno, io ogni giorno faccio 150 cose perché ho paura della morte. Cioè, io so che la morte prima o poi arriverà, quindi come c’è scritto su molti libri: vivi oggi come se fosse l’ultimo perché tanto non lo sai quando è l’ultimo giorno della nostra vita. Allora, è difficile che rimandi delle cose. In un giorno ci metto tutto quello che posso fare, mi porto avanti e quindi se oggi dovesse essere il mio ultimo giorno di vita, io ti direi che sono felice di aver vissuto la mia vita, non c’è niente che vorrei fare ancora!

Mamma mia, Toni fermiamoci qui, ti ringrazio, ti ringrazio veramente e ti auguro veramente tanto successo nell’animo, che poi si trasforma in successo materiale. Grazie Toni per questo incontro saluti a tutti ciao!

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Michele D'Ambrosio
Michele D'Ambrosio
Laureato in Economia e Giurisprudenza, Michele D’Ambrosio è consulente di direzione e di comunicazione aziendale e per TuNews24.it cura la rubrica settimanale “Marketing, Branding, Comunicazione”. Già dirigente di società in Italia e all’estero, cura per aziende e professionisti la definizione dello stile di Comunicazione e il posizionamento del Brand. Il suo focus è risolvere le esigenze di visibilità di chi intende entrare in connessione con il proprio pubblico con una narrazione di sé originale e distintiva. “Il Brand non è una tattica, è la costruzione di un rapporto di fiducia con la tua audience. Il racconto delle tue unicità ti condurranno al tuo pubblico” (Michele D’Ambrosio)
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